don Quijote | ||||||
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SULLA COMUNE ORIGINE DI ALCUNE FAMIGLIE DI PAROLE UR, LA SPLENDENTE |
Una domanda sorge spontanea, quando si muovono i primi passi nel delicato campo dell'origine delle parole, e delle lingue: poiché, qualche raro neologismo a parte, le parole derivano sempre da altre parole, più antiche, ancorché deformate nel tempo, questo vuol dire che le lingue antiche possedevano altrettanti vocaboli delle moderne? Ovviamente no, tanto quanto il fatto che ognuno dei sei miliardi di persone che abitano il pianeta abbia avuto un paio di genitori a testa non implica che nella scorsa generazione gli abitanti fossero 12 miliardi. Gruppi anche vasti di parole hanno infatti discendenza comune, pure se da un unico genitore, prolifico e antico. Dunque le parole son sorelle, e infatti la stragrande maggioranza dei vocaboli, ad esempio, neolatini, purificati da suffissi, prefissi, desinenze etc., si possono più o meno agilmente far risalire ad un ristretto numero di radici, che gli studiosi del ramo indicano come indoeuropee, appartenenti cioè ad una protolingua che si suppone antenato comune di un gran numero di idiomi diffusi in tutto il globo. Sorprende davvero la quantità e la varietà delle parole che si possono far derivare da una di queste radici. Si pensi, ad esempio, al caso della radice UR. Ur è il nome tradizionalmente attribuito alla più antica città del mondo, patria di Abramo, situata nella terra in mezzo ai fiumi, la Mesopotamia, culla della civiltà, e letteralmente significa "[la] scintillante", termine che in sanscrito doveva suonare grossomodo come “VAS”. Certo che al popolo dell'epoca, abituato a miseri villaggetti di capanne di fango, a polverose stradine intorno alle quali si costituiva tutto il piccolo agglomerato di casupole, la gloriosa Ur, coi suoi palazzi e templi in pietra lucida, le sue strade che immaginiamo lastricate di pietra viva, la potenza materiale delle sue mura, evocava senz'altro immagini di lucentezza che ben giustificano tale aggettivo sostantivato. Questa sillaba, Ur, ha figliato copiosamente, e suoi pronipoti ancora compaiono qua e la nella nostra lingua - e non solo, ovviamente; occorre però introdurre la prima variante, nel passaggio da Ur a Us. Intanto, la cosa che scintilla più comunemente è il fuoco; da qui il combUStibile, e i suoi affini (combUStione, incombUSto, ma anche combURente); e il fuoco, come tutti sanno, brucia, provocando UStioni; del resto, fra le sostanze che provocano reazioni analoghe a quelle delle scottature, ci sono anche quelle URticanti, come l'ortica. |
Ma, per tornare al significato originale, quello di sfavillìo, esso ricorda quello dell'oro (aURum, in latino); e anche l'aURora, anche se per taluni la derivazione è dal termine augeo (accresco, nel senso che il giorno nasce e comincia a crescere con l'aurora), da cui augusto, aggettivo relativo a qualcuno di piuttosto grande, anzichenò, porta con sé ancora l'amata sillabetta, e induce a pensare al meraviglioso (e sfavillante) spettacolo della luce all'alba. Per inciso alcuni vogliono che l'Augusto imperatore sfavilli di luce propria, e da qui il nome. Dalla lingua indoeuropea, le due lettere si spostano e volano veloci di bocca in bocca, come la freccia nella famosa canzone, proprio seguendo la direzione del sole, fino alla Grecia, graziosamente adagiata nel mediterraneo. Ora, si deve sapere che nella medesima lingua possono giungere sia la sillaba così com'è, presumibilmente se il passaggio è diretto, sia la sillaba trasfigurata - qualora giunga tramite percorsi accidentati e variegati. Nel primo caso, abbiamo la sillaba UR che giunge diretta e si muta in fuoco in greco1: pyr, da cui, ad esempio, pirico, cioè relativo al fuoco, o antipiretico, farmaco che combatte il fuoco delle febbri. Nel secondo caso, nei suoi vagabondaggi, muta dapprima da US a OS, che però vien da immaginare si pronunciasse HOS, con un'aspirazione davanti. Tant'è che in greco è diventato piuttosto FOS2, che poi vuol dire luce, come c'insegna il fotone, ma anche la fotografia, ch'è scrittura con la luce. Degli elementi, quello che porta la luce è senz'altro il FOSforo, che rende gli oggetti fosforescenti, Grazie alla luce, dal buio "appaiono" gli oggetti: e dunque il verbo FAinomai3 (io appaio), da cui l'italiano fantasma, nel senso di apparizione, il fenomeno (cioè ciò che appare, ed è percepibile dai sensi), l'epifania, nel senso dell'apparizione del divino... 1πῦρ, πυρός, τὸ: sost. n.: il fuoco 2φῶς, φωτός, τὸ: sost. n.: luce, bagliore 3φαίνομαι v. intr.: apparire |
Ma la luce illumina anche, come FAvilla, e, metaforicamente, nella Favella, che è dal latino fabula, ovverosia storiella: la lingua fa apparire quello che prima era oscuro, spiegandolo. E' quello che in portoghese diventa falar (parlare), e in spagnolo hablar, con la mutazione di "f" in "h" propria di quest'idioma. E la metafora dev'essere parecchio efficace, se si usa tuttora, a migliaia d'anni di distanza. “Illuminami tu”, si dice ironicamente, ovvero, spiegami. Che poi anche spiegare è metafora, e vuol dire distendere (una tela, un foglio illustrato) in modo da poterne vedere più chiaramente il disegno; ma questo ci sposta dal nostro problema; torniamo alla nostra bella e antichissima città, UR. Dal suo nome deriva il termine che in latino indica la città: urbs. L'Urbe era poi la città per eccellenza, ovvero, molto poco modestamente, Roma. Ma anche Urbino, patria di Raffaello. Da urbs viene anche urbano, nel senso di cittadino, anche in contrapposizione con villano, ovvero proveniente dalla villa, la campagna, nel senso di rustico, cafone. Ma pure i suoi derivati, da suburbano(periferico), fino al vigile URbano, (che a ben vedere vuol dire Attento Osservatore Gentile) che forse quanti hanno scioccamente trasformato in polizia locale, cavalcando il desiderio di sicurezza dei cittadini -mutare nome non costa nulla, tantomeno risolve i problemi, ma attira i voti- ignorano avesse un'origine tanto nobile e antica per il suo nome; laddove polizia presumo derivi dal nome che la città ha assunto per gli antichi greci1, polis, che invece deve probabilmente la sua origine alla radice poli, nel senso di “tanti”: e infatti cos'è una città, se non l'agglomerato di “tante” case diverse? Infine, mi piace pensare (ma non ho alcuna prova a riguardo, ignorando completamente qualunque elemento di lingue slave), che da US derivi il termine russo per indicare la scintilla: Iskra, che diede il nome al giornale con cui N. Lenin accendeva i cuori dei bolscevichi, ai primi anni del secolo scorso.
1πόλις, -εως, ἡ sost. f.: città |