Ero
seduto sulla poltrona di
fronte al camino acceso, il cui fuoco ravvivavo con qualche ciocco di
legno raccolto nella campagna circostante.
Leggevo con
attenzione, pur affaticato
da una giornata piuttosto intensa, nella mia piccola e fredda casa di
campagna.
Dopo aver rotto
definitivamente la mia
burrascosa relazione con Eleonora, con la quale avevo convissuto per
diversi anni, me ne ero partito alla volta di Cuba, per seguire un
corso triennale all'Istituto Latinoamericano di Medicina dell'Avana,
senza tornare in patria per tutta la durata degli studi, ben sapendo
che nessuno mi avrebbe accolto al mio ritorno, essendo prematuramente
scoparsi i miei genitori anni addietro.
Loro stessi
avevano vissuto in questa
casa gli ultimi anni della loro vita.
Al mio ritorno
dall'isola, non avendo
altro luogo dove andare, me ne sono tornato qui, pochi giorni fa,
impiegando i miei ultimi risparmi nell'acconciare questo luogo ad una
parvenza di vivibilità, e meditando su che direzione far
prendere alla mia vita.
Fu con enorme
sorpresa che udii bussare
con insistenza alla porta, e una visita era così
inaspettata,
che sospettai d'essermi addormentato e di aver solo sognato.
Ma un nuovo
battere quasi furioso sul
serramento mi convinse della realtà di questa visita, e mi
affrettai ad aprire.
Dopo qualche
istante di incertezza,
riconobbi nei lineamenti stravolti della persona che mi osservava a
sua volta, con cura, dietro un paio di spesse lenti, Giovanni, un
vecchio compagno di corso.
Mi
abbracciò con un affetto che
mai mi aveva dimostrato, negli anni dell'università, essendo
entrambi persone alquanto schive.
Restituii
goffamente il suo abbraccio,
e gli dissi di accomodarsi.
“Sono
contento di vederti” esordì.
Non potei
esimermi dal chiedergli cosa
l'avesse condotto da me, dopo anni di distanza.
“Vedi
Filippo”, mi disse, concitato
“ho saputo del tuo lungo viaggio, e della tua prolungata
assenza. Proprio per questo contavo di vederti in buona saluta, come in
effetti ho potuto verificare”
“In
che senso?”, chiesi, piuttosto
allarmato dal suo strano atteggiamento; infatti una volta seduto
sulla poltrona di fronte alla mia, dava evidenti segni di nervosismo,
controllando continuamente fuori dalla finestra, sobbalzando ad
ognuno di quei rumori improvvisi di cui la campagna è piena.
“Loro
potrebbero avermi seguito”,
disse misterioso.
“Loro
chi?”, domandai, chiedendomi
se il buon Giovanni non fosse completamente impazzito.
“I
vampiri”, mi disse.
Sobbalzai.
“Di cosa stai parlando,
Giovanni?”
“Da
quando sei partito, Filippo, una
grave epidemia si è diffusa nel paese.
|