E’
in piedi, di fianco al letto, infila quella vecchia tuta nera, tengo
gli occhi chiusi, fingo di dormire. Va in bagno, forse non si
è
accorto che sono sveglia, meno male, ho mezz’ora di tempo
prima che
esca di casa, come sempre.
Potrà
osservare il suo volto dopo la rasatura, frizionando la pelle con
quello stupido balsamo che gli lascerà una lieve fragranza
sul
viso. E poi la doccia bollente, che riempirà di vapore il
bagno trasformandolo in un inferno amazzonico, cancellando tutti i
residui del sonno, le microferite sulla pelle liscia e tesa dalla
lametta, tonificando il torace, le spalle larghe.
Eccolo;
ho gli occhi chiusi, so che mi sta guardando, con un sorriso appena
accentuato negli angoli della bocca, di soli occhi, con le piccole
rughe a ingentilirne i tratti maturi.
Ebete.
Ora
è incerto se baciarmi, non vuole disturbare il sonno del suo
angelo, che tesoro, vai va’, non disturbare, tanto per la
carezza
che mi deve fare, così lieve sul viso e sui capelli da
essere
inavvertibile.
Esce.
Un
cordiale saluto al portiere, con tutta l’affettazione
democratica
di cui è capace, buon giorno professore, risponde il
vecchio;
in edicola, a comprarsi i suoi cazzo di giornali, almeno tre, senza
dimenticare di prendermi il numero di Jazz&Soul della settimana
, ed ora al supermercato, non lo ammetterà mai,
naturalmente,
nemmeno sotto tortura, ma gira fra gli scaffali un po’
impaurito
dall’esuberanza dei colori, dei messaggi pubblicitari.
Riempie
il carrello con moderazione, da bravo e attento consumatore, non
disdegnando di sorridere a quella puttanella della cassiera,
ché
l’ho visto benissimo che gli fa gli occhi dolci, ciao prof,
tutto
bene prof e sua moglie, chiede premurosa.. lui sospira e carica la
spesa, naturalmente ha comprato gli assorbenti, e i miei
“biscotti
preferiti”, l’ha deciso lui che sono i miei
preferiti.
Detesto
quando mi solleva con le sue mani delicate, una a tenermi le spalle e
la testa, l’altra ad abbracciarmi le gambe, mi posa sul letto
piano
piano, come se dovessi esplodere in mille frammenti di cristallo
urtando contro il materasso.
Sei
un uomo mediocre, ecco tutto, con mediocri aspirazioni,
contraddittorio tanto quanto vuoi mostrarti coerente. Già il
tuo nome è un ossimoro, Amodeo, tu , ateo razionalista, un
nome che pure denuncia la tua estrazione piccolo-borghese,
l’ambizione dei tuoi genitori a donarti improbabili quarti di
nobiltà; ipocriti loro per primi, col loro disinteresse radical
chic per le questioni materiali, settantenni atletici
e ambiziosi.
Non
puoi essere ambizioso a settant’anni, Amodeo; è
contronatura.
E’
rientrato, ripone la spesa.
Provo
solo schifo, quando avvicini lentamente alle mie le tue labbra, quasi
secche nella parte esterna, quella del primo contatto, ché
per raggiungere l’umido devi volerlo, cercarlo. Anche in
questo sei
trattenuto, anche in un bacio, Amodeo.
E
quell’odore lieve, sulla pelle sempre rasata,
perché fai la
barba due volte, quando stiamo insieme per molte ore, nei week end,
in vacanza, per non graffiarmi la pelle delicata.
Perché
poi durante la settimana hai da fare,
all’università, col
lavoro, esci ed io non so più nulla di te, della vita colma
di
piccole soddisfazioni che hai modo e occasione di vivere.
E
infine torni, torni sempre e ti sdrai di fianco a me e vuoi dormire,
ed io sono stata tutto il giorno ad aspettare, a letto.
E
ti picchio coi pugni sul braccio, girandomi appena, e tu guardi il
soffitto, e poi cerchi un contatto, di baciarmi, come se avesse
ancora un senso la vecchia storia per cui da abbracciati potremo
affrontare qualunque problema, insieme.
Ecco,
ora prepari il caffé, uno per te ed uno per me,
perché
ritieni sia l’ora di svegliarmi, “sennò
poi fai fatica a
dormire, amore”, che vuol dire sennò poi mi scassi
le palle
tutta la notte ma io devo dormire, chi è che tira avanti la
baracca, chi è che mantiene entrambi, amore?
Devi
andare via da questa casa, Amodeo, devi andare via da casa mia!
Devi
farlo oggi stesso, devi fare la valigia ed andartene, Amodeo, non ti
sopporto più.
Non
sopporto più la luce dolce che hai negli occhi, quando
guardi
le mie gambe chiare, morbide, che presto perderanno tutta la loro
freschezza, amore, e tu lo sai, e l’ipocrisia dei tuoi occhi
non
può mascherare lo sguardo indagatore che hai quando cerchi
traccia dei piccoli vizi, dei difetti per ora minuti, invisibili, ma
che ingigantiranno presto, tu lo sai Amodeo.
Devi
andare via, non posso sopportare oltre la tua voce più
convincente, quando mi parli con le mani, cogli occhi, per dirmi che
tutto andrà a posto, con la fisioterapia, che bisogna aver
fiducia, che starai sempre con me.
Non
starai sempre con me, Amodeo, perché diventerò
presto
vecchia, e inutile, e arrabbiata con la vita, e insopportabile
già
lo sono, Amodeo, e se non andrai via sarà solo per
pietà,
lo so, perciò devi andare via oggi, oggi che ancora non si
è
cancellato il ricordo delle passeggiate in montagna, con
l’aria
fredda che ci sollevava i polmoni e tu ridevi, e non mi prendevi mai
in braccio, perché io ero più veloce di te, a
salire,
ti ricordi Amodeo? Ti lasciavo indietro, perché sei lento,
lo
sei sempre stato; le sigarette erano un handicap per te, dicevi
proprio così, ti ricordi amore, un handicap.
E
il prato dove d’estate ci si nascondeva, lo conoscevamo solo
noi, e
tu ci potrai portare un’altra, e io non te ne
vorrò, perché
ti avrò già lasciato, ed è giusto che
dopo un
po’ ti rifarai una vita, o no? E non ti preoccuperai per me,
e se
anche penserai a me ogni tanto avrai diritto ad avercela con me,
perché ti avrò lasciato, e ti avrò
fatto
soffrire, amore.
Vattene,
Amodeo.
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