don quijote de la Mancha
    don  Quijote el che

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TI ODIO!

E’ in piedi, di fianco al letto, infila quella vecchia tuta nera, tengo gli occhi chiusi, fingo di dormire. Va in bagno, forse non si è accorto che sono sveglia, meno male, ho mezz’ora di tempo prima che esca di casa, come sempre.

Potrà osservare il suo volto dopo la rasatura, frizionando la pelle con quello stupido balsamo che gli lascerà una lieve fragranza sul viso. E poi la doccia bollente, che riempirà di vapore il bagno trasformandolo in un inferno amazzonico, cancellando tutti i residui del sonno, le microferite sulla pelle liscia e tesa dalla lametta, tonificando il torace, le spalle larghe.

Eccolo; ho gli occhi chiusi, so che mi sta guardando, con un sorriso appena accentuato negli angoli della bocca, di soli occhi, con le piccole rughe a ingentilirne i tratti maturi.

Ebete.

Ora è incerto se baciarmi, non vuole disturbare il sonno del suo angelo, che tesoro, vai va’, non disturbare, tanto per la carezza che mi deve fare, così lieve sul viso e sui capelli da essere inavvertibile.

Esce.

Un cordiale saluto al portiere, con tutta l’affettazione democratica di cui è capace, buon giorno professore, risponde il vecchio; in edicola, a comprarsi i suoi cazzo di giornali, almeno tre, senza dimenticare di prendermi il numero di Jazz&Soul della settimana , ed ora al supermercato, non lo ammetterà mai, naturalmente, nemmeno sotto tortura, ma gira fra gli scaffali un po’ impaurito dall’esuberanza dei colori, dei messaggi pubblicitari.

Riempie il carrello con moderazione, da bravo e attento consumatore, non disdegnando di sorridere a quella puttanella della cassiera, ché l’ho visto benissimo che gli fa gli occhi dolci, ciao prof, tutto bene prof e sua moglie, chiede premurosa.. lui sospira e carica la spesa, naturalmente ha comprato gli assorbenti, e i miei “biscotti preferiti”, l’ha deciso lui che sono i miei preferiti.

Detesto quando mi solleva con le sue mani delicate, una a tenermi le spalle e la testa, l’altra ad abbracciarmi le gambe, mi posa sul letto piano piano, come se dovessi esplodere in mille frammenti di cristallo urtando contro il materasso.

Sei un uomo mediocre, ecco tutto, con mediocri aspirazioni, contraddittorio tanto quanto vuoi mostrarti coerente. Già il tuo nome è un ossimoro, Amodeo, tu , ateo razionalista, un nome che pure denuncia la tua estrazione piccolo-borghese, l’ambizione dei tuoi genitori a donarti improbabili quarti di nobiltà; ipocriti loro per primi, col loro disinteresse radical chic per le questioni materiali, settantenni atletici e ambiziosi.

Non puoi essere ambizioso a settant’anni, Amodeo; è contronatura.

E’ rientrato, ripone la spesa.

Provo solo schifo, quando avvicini lentamente alle mie le tue labbra, quasi secche nella parte esterna, quella del primo contatto, ché per raggiungere l’umido devi volerlo, cercarlo. Anche in questo sei trattenuto, anche in un bacio, Amodeo.

E quell’odore lieve, sulla pelle sempre rasata, perché fai la barba due volte, quando stiamo insieme per molte ore, nei week end, in vacanza, per non graffiarmi la pelle delicata.

Perché poi durante la settimana hai da fare, all’università, col lavoro, esci ed io non so più nulla di te, della vita colma di piccole soddisfazioni che hai modo e occasione di vivere.

E infine torni, torni sempre e ti sdrai di fianco a me e vuoi dormire, ed io sono stata tutto il giorno ad aspettare, a letto.

E ti picchio coi pugni sul braccio, girandomi appena, e tu guardi il soffitto, e poi cerchi un contatto, di baciarmi, come se avesse ancora un senso la vecchia storia per cui da abbracciati potremo affrontare qualunque problema, insieme.

Ecco, ora prepari il caffé, uno per te ed uno per me, perché ritieni sia l’ora di svegliarmi, “sennò poi fai fatica a dormire, amore”, che vuol dire sennò poi mi scassi le palle tutta la notte ma io devo dormire, chi è che tira avanti la baracca, chi è che mantiene entrambi, amore?

Devi andare via da questa casa, Amodeo, devi andare via da casa mia!

Devi farlo oggi stesso, devi fare la valigia ed andartene, Amodeo, non ti sopporto più.

Non sopporto più la luce dolce che hai negli occhi, quando guardi le mie gambe chiare, morbide, che presto perderanno tutta la loro freschezza, amore, e tu lo sai, e l’ipocrisia dei tuoi occhi non può mascherare lo sguardo indagatore che hai quando cerchi traccia dei piccoli vizi, dei difetti per ora minuti, invisibili, ma che ingigantiranno presto, tu lo sai Amodeo.

Devi andare via, non posso sopportare oltre la tua voce più convincente, quando mi parli con le mani, cogli occhi, per dirmi che tutto andrà a posto, con la fisioterapia, che bisogna aver fiducia, che starai sempre con me.

Non starai sempre con me, Amodeo, perché diventerò presto vecchia, e inutile, e arrabbiata con la vita, e insopportabile già lo sono, Amodeo, e se non andrai via sarà solo per pietà, lo so, perciò devi andare via oggi, oggi che ancora non si è cancellato il ricordo delle passeggiate in montagna, con l’aria fredda che ci sollevava i polmoni e tu ridevi, e non mi prendevi mai in braccio, perché io ero più veloce di te, a salire, ti ricordi Amodeo? Ti lasciavo indietro, perché sei lento, lo sei sempre stato; le sigarette erano un handicap per te, dicevi proprio così, ti ricordi amore, un handicap.

E il prato dove d’estate ci si nascondeva, lo conoscevamo solo noi, e tu ci potrai portare un’altra, e io non te ne vorrò, perché ti avrò già lasciato, ed è giusto che dopo un po’ ti rifarai una vita, o no? E non ti preoccuperai per me, e se anche penserai a me ogni tanto avrai diritto ad avercela con me, perché ti avrò lasciato, e ti avrò fatto soffrire, amore.

Vattene, Amodeo.