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archivio in linea
di produzioni culturali e affini |
IL PENDOLO VERTICALE |
Mi chiamo Otis, ho
ventisei anni e sono un ascensore. La vita di un
ascensore, a differenza di quel che si potrebbe pensare, non è affatto
movimentata. Il palazzo in cui
lavoro è a sei piani, e i possibili viaggi non sono poi tanti. Al primo piano
la mia porta è stata sigillata, perché i condomini si sono lamentati del
fatto che non mi usavano e dovevano ugualmente pagare le spese; per cui le
spese oggi sono divise a partire dagli inquilini del secondo piano. Meno
male, era più la fatica di mettersi in moto che il viaggio. La mia vita è un
inferno. Non tanto per la
routine; fermo al quarto piano, mi chiamano da terra, vado a terra, riconosco
le voce, sono i Terzi; le famiglie che vivono al terzo piano le chiamo così.
Attendo con pazienza che carichino le sporte della spesa, chiudano la porta,
si accorgano che non è ben chiusa, la richiudano, premano il pulsante del
piano. Arriviamo a destinazione, riscaricano le sporte. Mai un grazie. Sempre gli stessi
cinque tragitti, avanti o indietro, sempre la stessa strada come un
pendolare, da quando sono nato, ma non è quello il problema: è lavoro, un
lavoro come un altro. Ai tre lati un muro
di cemento armato, di quelli con ancora i segni dei casseri in legni,
brutale. Davanti a me le
porte dei diversi piani, intervallate da un trenta centimetri di solaio, così
si chiama quello che è soffitto per i Terzi, pavimento per i Secondi, chissà
dove finisce uno e inizia l'altro, non riesco a capire. La mia vita è un
infermo perché le persone, dentro di me, si trasformano. Non so se derivi da
qualche mia particolare qualità, o un sortilegio che ho subito. Ritengo sia un
sortilegio, perché mio padre, che era un glorioso montacarichi in una famosa
ditta siderurgica, non me ne ha mai parlato.. non ho avuto contatti con altri colleghi, non so cosa
capiti loro, ma è impossibile che tutti debbano soffrire la mia medesima
sorte, non posso immaginare questa tortura perpetrata ai danni dell'intera
razza degli ascensori, milioni di macchine costrette a subire le mie pene.
Una tale devastazione, di tanta portata, di tale estensione, è inconcepibile. Ecco, ci risiamo,
capita anche oggi. Non c'è giorno che non succeda, e i segni si percepiscono
a distanza. Come vorrei, dio mio,
che la tromba non amplificasse i suoni, permettendomi di udire le voci a
tutti i piani. Qual'è il mio karma, che peccato o
dolo ho commesso in un'altra vita, quand'ero carrucola, o argano, che male
posso aver mai compiuto per meritare questo, mio dio!! Eccoli, li sento, si
avvicinano, s'incontrano al piano Terra. “Buonasera signora” “Oh buonasera
ragioniere... come andiamo?” “Bene, bene, grazie,
e lei?” “A sì, grazie, bene” Incominciano. Le
premesse sono terribili, si conoscono a malapena, di vista, lei sa che lui è
ragioniere, l'ha sentito dire non si sa da chi, lui ignora completamente cosa
faccia, se ha figli, ha visto un uomo con lei una volta, gli pare almeno. Non
si azzarda a chiedere notizie del marito: e se se
ne fosse andato, lasciandola sola? E figli ne ha? Forse “ilsignorenonhavoluto”,
che indelicatezza sarebbe. Al mio arrivo al piano la temperatura è già sotto
zero, nel gelo dell'imbarazzo. Lei sale al quinto,
lui all'ultimo, sarà lento e doloroso. Entrano,
cavallerescamente lui le cede il passo. “brr,
comincia a far freddino, eh?” dice lei. Niente male come
inizio “Eeeeeh,
ormai bisogna pensare che è quasi inverno” La scienza della
meteorologia non ha segreti per il ragioniere. “L'altro giorno avevo
il golfino in casa, e avevo ancora freddo, sa?” Come mi dispiace “Ma non si decidono
ad accendere i riscaldamenti” La data di
accensione è regolata per legge, idiota |
Ed ora silenzio; e
siamo appena al secondo piano. Il gelo, forse richiamato anche
dall'interessante discorso dei due, scende e avvolge uomini e macchine. E dai, cazzo, dite
qualcosa di non banale. Ve ne prego... “E cosa prepara di
buono stasera, signora?” Bastardo. Ma poi perché, “di
buono”? E se non è capace, se è un'avvelenatrice ?
Ti prego, rispondi: che cazzo ti frega? “Stasera bistecche.” Maledetta. “E di contorno una
bella insalata..” Originale. Ora però
non farlo. Trattieniti. Non serve a nulla, è davvero inutile, trattieniti “...che sgrassa!” AAAARGH.
Quanto dolore. Mio padre
traghettava materiali ferrosi, accompagnando operai silenti che profittavano
del viaggio per accendere una sigaretta. Quand'erano in due,
parlottavano del prossimo sciopero, e dei problemi della fonderia, o
dell'ultimo incidente sul lavoro. Spesso stavano semplicemente zitti.
Quella era gente che parlava solo se aveva qualcosa da dire, mica per
riempire lo spazio ed il tempo di insulsaggini. Ancora silenzio. Lei
finge di guardare nella borsetta. Lui impara a memoria la mia targhetta; ok,
ragioniere, hai scoperto che l'uso dell'ascensore è vietato ai minori di 12
anni non accompagnati, che la portata massima è di 320 kg, che la capienza è
di quattro persone. Hai memorizzato il numero da comporre in caso di
problemi, e scoperto che l'abuso della campanella d'allarme verrà punito, a
norma di regolamento condominiale. Ed ora cosa farai per far passare questi
dodici secondi che restano? Nulla, solo silenzio
agghiacciante imbarazzato. Penso al mio Piano,
che non è nel il quinto né il sesto, ma l'Ultimo. I secondi passano
con una lentezza estenuante, arriviamo al quinto, s'ode un sospiro di
sollievo malcelato. “allora
arrivederci signora, mi saluti..” esitazione “a casa” “non
mancherò, arrivederci ragioniere, buonasera” Il ragioniere si
precipita sulla porta, la chiude, sembra un sopravvissuto. Recupera
l'abituale aplomb, scende al sesto, chiude accuratamente la porta. E'
finita. Non ce la faccio
più, mi consolo ripassando i particolari del mio piano. Per fortuna sono un'ascensore di una certa età. Oggi i novellini viaggiano
sospinti da un pistone, sollevato da olio in pressione, se ho capito bene. Ma
io no, ho i miei bravi cavi in sala macchine. La revisione
dovrebbe essere fatta ogni due anni, ma da me nessun tecnico è passato negli
ultimi sei. Il cavo è logorato, il meccanismo di sicurezza è rotto. Manca
poco, ed il Piano si svolgerà, secondo quando previsto negli ultimi mesi, fin
nei più minuti dettagli. Il cavo è composto da ventiquattro cavetti di
acciaio attorcigliati; sedici di questi sono spezzati. Ogni dodici movimenti
se ne spezza un altro; quando ne resteranno solo quattro il peso stesso della
cabina farà il resto del lavoro. Mancano solo quattro cavetti, quarantotto
viaggi. Anzi quarantasei, se aggiorniamo il computo agli ultimi due. Spero ardentemente
di portare il ragioniere all'inferno con me. I condomini sono
rientrati tutti, posso dormire per qualche ora. Domani, probabilmente sarà il
grande giorno. Dormo inquieto, come
alla vigilia di un importante esame. Alle sette e mezza
sento un brusio, voci nuove. Salgono tre uomini.
Tre tecnici. O mio dio, no. Non parlano.
Schiacciano il pulsante dell'ultimo piano. No, non è possibile. Escono, percorrono
le scale, arrivano in sala macchina, aprono la porta. Discutono.
Verificano. Fermano la corrente all'interruttore generale. NOOOOOOO. Pongono i
maledetti cartellini di “fermo per manutenzione”. Mi bloccano col fermo
meccanico. Stanno sostituendo il cavo. “Signor amministratore, ora è tutto a
posto”, dice il più vecchio al telefonino dopo una mattinata di lavoro e
bestemmie. “Sì, il cavo era
logorato, l'abbiamo sostituito appena in tempo”. |